Teoria Sistemica

Il pensiero sistemico trae le sue origini dalla filosofia greca, in particolare da Aristotele e dai primi pitagorici. Queste riflessioni furono poi riprese nei primi anni del '900 da alcuni studiosi che iniziarono ad elaborare alcune teorie sulla dicotomia struttura-sistema degli esseri viventi.
La prima opera incentrata sul pensiero sistemico fu la Tectologìa, elaborata da Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, la quale rappresentava il primo tentativo di dar vita ad una scienza delle strutture, basata sulla formulazione di principi di organizzazione, che consentivano di comprendere le strutture dei sistemi viventi e non viventi. Contemporaneamente a Bogdanov, un altro studioso, Vladimir Vernadskij, studiava i sistemi viventi e il loro rapporto con il mondo fisico circostante. In particolare, prese come oggetto del proprio studio la biosfera, intesa come sistema vivente, caratterizzata dalla forte interconnessione tra tutti gli esseri viventi che la popolano e che, attraverso processi di scambio, ne alimentano la vita.
Ma solo tra gli anni quaranta e cinquanta del ventesimo secolo fu elaborata da Ludwig von Bertalanffy la teoria generale dei sistemi, che doveva essere considerata come base comune per tutte le discipline scientifiche. I concetti fondamentali di tale teoria sono l'apertura e chiusura dei sistemi viventi, dell'omeostasi e dell'auto-regolazione.
Negli ultimi decenni si è sempre più affermata l'esigenza di superare la frammentazione e la separazione dei saperi derivante dalla tradizione "riduzionistica" e di ridare la giusta attenzione all'intero, cioè alla "globalità" di ogni oggetto o processo che si intende sottoporre ad indagine scientifica. Questo processo, tuttora in difficile ma tuttavia rapida evoluzione, ha condotto alla nascita del "paradigma sistemico" come risposta interpretativa adeguata a tale necessità. Tale paradigma corrisponde a una concezione della realtà molto innovativa che il secolo da poco concluso ha prodotto, alla quale hanno contribuito vari studiosi, tra cui il già citato Ludwig Von Bertalanffy, autore di un testo fondamentale dal titolo "Teoria generale dei sistemi", e le ormai storiche Macy Conferences, che per la prima volta hanno consentito a numerosi studiosi di primissimo piano (Gregory Bateson, Margaret Mead, Norbert Wiener, John von Neuman, ecc.) di confrontarsi sulle difficili problematiche sollevate dalla nuova concezione della realtà e della scienza.

Un apporto fondamentale alla teoria generale dei sistemi è stato dato più recentemente da due studiosi cileni, Humberto Maturana e Francisco Varela che hanno fornito importanti e originali contributi sulle tendenze all'auto-organizzazione che sono proprie dei sistemi viventi. Il processo di auto-organizzazione è descrivibile come riduzione dell'entropia interna del sistema a spese di quella esterna, concetto che ne racchiude in sé altri due, molto importanti per comprendere le dinamiche interne dei sistemi viventi: quello di "retroazione" (feedback) e quello, ad esso legato, di "anelli di retroazione", cioè di particolari disposizioni degli elementi del sistema che ne permettono l'auto-regolazione. Al principio di retroazione può essere in ultima analisi ricondotto anche il meccanismo che sta alla base dell'"omeostasi", cioè di quel processo di autoregolazione che permette agli organismi viventi di mantenersi in uno stato di "equilibrio dinamico". Varela introduce inoltre il suo specifico approccio ad un'indagine rigorosa dell'esperienza con la denominazione "Neurofenomenologia". Come le tecniche di neuroimmagine hanno permesso l'evoluzione delle neuroscienze cognitive così Varela propone un ulteriore passaggio alla "neuroscienza esperienziale" . Un programma di ricerca che dia "strumenti pragmatici", quindi pratici, operativi per esplorare il mondo del vissuto. La Neurofenomenologia, con le parole di Varela è una direzione di ricerca abbastanza radicale per il modo di collegare i principi metodologici agli studi scientifici sulla coscienza. L'effetto complessivo degli anelli di retroazione nei sistemi viventi, e più in generale negli ecosistemi, è descritto inoltre efficacemente da Prigogine in termini di "meccanismi di autoregolazione" attivati da condizioni termodinamiche lontane dall'equilibrio. Come sottolineato dallo stesso autore, per effetto della "non linearità" che li caratterizza, più che da una causalità di tipo lineare, quindi tale da permettere di distinguere nettamente tra causa (variabile indipendente) ed effetto (variabile dipendente), i sistemi complessi sono caratterizzati da una causalità di tipo "circolare" e "ricorsivo".

Figura 1: Schema dell’interazione dei diversi livelli nel modello di Maturana e Varela.


La terapia sistemica ha le sue origini nella terapia famigliare anche se differisce da questa poichè non è indispensabile che sia una famiglia il fuoco dell'attenzione terapeutica. Molti concetti,come molte tecniche terapeutiche possono essere applicate anche alle relazioni di coppia, a gruppi di lavoro, a contesti scolastici ed individuali. Quello che è decisivo è che l'enfasi è posta sulla dinamica dei processi di comunicazione, nelle interazioni fra i membri del sistema ed i sottosistemi che lo compongono. Nel caso della terapia individuale il fuoco è posto sul cambiamento della comunicazione ed interazione, che sottende l'idea di base di capire la persona nel suo ambiente cioè nel contesto del sistema di cui la persona è parte. La terapia sistemica risulta tuttavia insufficiente se è basata solo su teorie poiché da tale ambito è escluso l'aspetto esperienziale che invece gioca spesso un ruolo determinante. Come nel corpo umano, dove i due emisferi cerebrali possono essere considerati due polarità in connessione dinamica così, nel lavoro con la terapia sistemica, le due polarità sono l'Epistemologia, teoria della conoscenza attraverso teorie (quantità misurabili) e la Fenomenologia, teoria della conoscenza attraverso esperienze (qualità: sentire personale). Ma cosa vuol dire l'espressione "esperienziale"? Il contenuto del lavoro esperienziale è dato dai vissuti ed in particolare dai vissuti emozionalmente connotati. La parola vissuto può essere considerata un'abbreviazione dell'espressione "esperienza così come vissuta dalla persona" contrapposta alla obbiettività dei fatti. Il termine è stato introdotto da Dilthey nella sua psicologia descrittiva in opposizione alla psicologia sperimentale, per significare un nuovo approccio agli eventi psichici in cui la conoscenza può essere data solo attraverso un atto vitale di un vivente che in questo atto a sua volta si esprime. Il vissuto si fonda su sensazioni e percezioni, si realizza attraverso l'esperire. Avvicinare la vita con la vita è, secondo me, un'espressione adeguata ad evocare questo concetto.Per dare una risposta astratta, basata su concetti, ci si dovrebbe staccare dall'esperienza, uscirne fuori, non essere più "sotto lo stesso orizzonte degli eventi", non essere più accomunati con un'unica esperienza; e questa inevitabilmente sarebbe un'altra cosa. Quello che interessa è la persona che esiste nell'unicità della sua relazione con il mondo, non i sintomi astratti dal contesto personale: la patologia è considerata solo una caratteristica con cui la persona sta al mondo, in modo sofferente e con una qualità di vita per lei insoddisfacente rivelata dal fatto che ha sentito il bisogno di consultare uno psicoterapeuta. La relazione psicoterapeutica è un modo per mettere mano alla qualità di vita e la qualità della vita della persona è data dal piacere che le suscita quello che lei fa in un continuo, dinamico equilibrio esistenziale. Questo piacere è dato quando superiamo la scissione tra il nostro vissuto, le nostre emozioni, i nostri desideri, ciò che pensiamo e ciò che mettiamo in atto con l'azione. E' integrare questi aspetti nel vissuto del qui ed ora. In quest'ottica, vita e conoscenza sono considerate come due totalità sistemiche in divenire. Vivere è conoscere, è effettuare azioni efficaci nel dominio dell'esistenza. Ma questa conoscenza non farà riferimento a un punto fisso e assoluto (oggettivismo riduzionista) al quale poter ancorare le sue descrizioni ed asserzioni per affermare e difendere la loro validità. "...in questa via di mezzo troviamo la regolarità del mondo che sperimentiamo in ogni momento ma senza nessun punto di riferimento indipendente da noi che ci garantisca la stabilità assoluta che vorremmo attribuire alle nostre descrizioni".

 

Figura 2: L’albero della conoscenza (elaborazione sulla base del modello di Maturana e Varela).

Si tratta piuttosto dell'apertura di nuovi accoppiamenti strutturali dovuti all'associazione di una grande varietà di stati interni in cui l'organismo può entrare. Il linguaggio, il contesto sociale e l'autocoscienza nascono da queste interazioni, non come strumenti di ricerca e asserzione di verità assolute, ma come strumenti di coerenza operativa in quelle interazioni ricorrenti che costituiscono la nostra vita quotidiana in continua trasformazione. La conoscenza, allora, può essere considerata una pratica di consapevolezza e presenza in un mondo senza fondamenti rigidi, un percorso circolare che, partendo dalla qualità dell'esperienza, genera domande sulla conoscenza stessa lungo itinerari che attraversano le varie forme dell'esistenza, dall'organizzazione autopoietica fino ai sistemi sociali. La conoscenza diviene allora un'esperienza che apre ad ulteriori esperienze senza, tuttavia, acquisire un valore assoluto; secondo un'espressione oramai ben nota, la conoscenza è come "una chiave che apre una serratura" senza tuttavia nulla apprendere della natura della stessa. Esistere è fare, guardare al nostro "essere nel tempo", al nostro fare nel mondo, alle sue potenzialità e alla realtà in atto. In questa ottica un modo per aiutare la persona è aprire altre opzioni che per lei siano migliori. Dal punto di vista fenomenologico ed esperienziale, aprire altre opzioni significa aiutare la persona a vivere un'esperienza trasformativa, sperimentando un diverso rapporto con sè stessa e con l'altro; diverso in quanto fondato sull'essere in contatto, sulla base del ciclo "sentire sensoriale ed emozionale, pensare, volere, attuare". La relazione, nella sua circolarità, diventa una forma di esperienza se compiuta attraverso la pratica della consapevolezza e della presenza ed è, quindi, radicata nel corpo. Anche le riflessioni tuttavia, hanno la loro funzione: sono essenziali, ad esempio, per dar vita al linguaggio, al dialogo che è la base della ricerca di interazioni soddisfacenti. Arriviamo così al nodo fondamentale del problema della conoscenza: poter vedere le nostre attività come riflessi di una struttura senza perdere di vista l'immediatezza della nostra esperienza, poter restare ancorati al nostro corpo sia come struttura esperienziale vissuta sia quale contesto o ambiente dei meccanismi cognitivi. Dunque oltre alla Fenomenologia, teoria del conoscere attraverso il vissuto in prima persona, occorre anche una teoria della conoscenza basata sull'oggettività empirica. Ciò significa sull'integrare l'esperienza soggettiva con la conoscenza oggettiva. Questo nuovo mutamento epistemologico si afferma sul finire del XX secolo, come conseguenza quasi necessaria delle nuove acquisizioni scientifiche. Infatti, alcune importanti acquisizioni relative a diverse discipline hanno iniziato a mettere in discussione l'abituale visione del mondo come entità intrinsecamente informativa e dotata di senso indipendentemente da un osservatore e la tradizionale concezione rappresentazionale della conoscenza (secondo la quale gli esseri viventi conoscerebbero la realtà tramite rappresentazioni interne di stimoli esterni intrinsecamente informativi). Secondo la nuova prospettiva la conoscenza più che come "rappresentazione" è vista come "costruzione", e dipende dallo specifico modo di essere dell'organismo altrettanto che dalla realtà esterna. Questa nuova prospettiva è generalmente designata in letteratura con il termine costruttivista. A questo proposito è però necessaria una precisazione: il termine costruttivismo, infatti, può essere impiegato perlomeno in due diverse accezioni. In una prima accezione, il termine si riferisce alla natura anticipatoria della mente (e quindi alla capacità di selezionare i dati e di determinare i suoi stessi imput). La nuova prospettiva, nel cui ambito il termine si riferisce propriamente è invece l'accezione forte del termine costruttivista, riferito alla specificità dei sistemi autopoietici. È passato abbastanza tempo prima che il lavoro di Maturana e Varela venisse dapprima accettato nell'ambito dell'establishment scientifico e poi apprezzato dai clinici.

Figura 3: Schematizzazione della Neurofenomenologia proposta da Francisco Varela.

Inoltre, poiché essi non sono dei clinici, hanno lasciato ampiamente ad altri il compito di trarre le implicazioni della loro teoria nell'ambito clinico. È nel campo della terapia della famiglia che le loro idee sono state introdotte per la prima volta dagli specialisti della salute mentale. I terapeuti della famiglia erano preparati a queste idee dagli scritti influenti di Bateson sulla cibernetica e i sistemi complessi . In un certo senso, è stato utile che Maturana e Varela provenissero dal campo della biologia e delle neuroscienze cibernetiche piuttosto che da quello della clinica. Trovandosi al di fuori del campo della salute mentale, hanno potuto proporre idee fertili in piena libertà, non essendo impegnati a difendere nessuna particolare scuola di pensiero in psicoterapia. In tal modo hanno potuto presentare una raffigurazione precisa, coerente, fondata sulla base delle teorie dei sistemi complessi e internamente consistente, di come i sistemi viventi funzionano e di come essi creano e utilizzano la conoscenza. Inoltre, hanno descritto, in un modo che molti trovano convincente, come il linguaggio, considerato un fenomeno biologico, ha effetto sull'organizzazione della comunità e sulla pratica della scienza. La loro prospettiva risolve molti problemi antichi, ad esempio il ruolo della spiegazione nella produzione del cambiamento, ma anche apre nuovi problemi. Ad esempio, essa sfida i clinici ad accettare il fatto che le persone operano in universi multipli di possibilità, in cui decidono da sé il significato della loro vita. Come un lavoro artistico, la conversazione terapeutica è un'impresa creativa che viene inventata da zero con ogni persona e in ogni momento di ogni sessione. Quindi, da una parte, anche se questa terapia è in sostanza un processo semplice, è incline a sembrare estremamente complessa per chi insiste per avere ricette immediate. D'altra parte, anche se l'approccio richiede che i clinici si adattino ad un certo grado di incertezza creativa, la teoria non è priva di utili direttive e suggestioni.

BIBLIOGRAFIA
MATURANA H.R. VARELA F.J. (1980), Autopoiesis and Cognition: The Realization of the Living, Reidel, Boston (trad. it. Autopoiesi e Cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia 1985).
MATURANA H.R. VARELA F.J. , L'albero della conoscenza, ed. Garzanti, Milano, 1987
PRIGOGINE I. STENGERS I., La Nouvelle Alliance, Gallimard, Parigi 1979 (trad. it. La nuova alleanza, Einaudi, Torino, 1981).
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