Longevity Training

Longevity training

Il modello e il metodo di Longevity Training. Il modello pone come centro teorico e metodologico di tutte le attività umane la Vita come sintesi sublime di correlati biologici ed emozionali.

 

L’integrazione dell’intelligenza razionale con le emozioni ha dato vita alla proposta dell’intelligenza emotiva da parte dello psicologo Daniel Goleman. Ma l’aspetto centrale proposto dal modello riguarda non solo il riscatto delle emozioni ma anche il superamento della dissociazione tra intelligenza ed affettività. La società, oltre a formare esperti professionisti, deve coltivare in essi anche l’empatia, il senso profondo di identificazione con gli altri esseri umani. Comprendere le azioni degli altri è essenziale per un professionista della riabilitazione. Oggi le neuroscienze hanno fornito interessanti conferme di questa affermazione a partire sempre da ricerche svolte da studiosi italiani. Giacomo Rizzolatti, neurofisiologo, ha scoperto un tipo particolare di cellule, i neuroni specchio, dotate della particolarità di attivarsi sia quando osserviamo un'azione sia quando la compiamo noi stessi. Trovano così spiegazione molti dei nostri comportamenti individuali e sociali, ma ciò comporta anche una trasformazione nel modo di intendere percezione, azione e cognizione, dato che lo studio dei neuroni specchio mostra che le aree del cervello deputate all'agire sono in grado anche di percepire e di conoscere . Il modello Longevity Training riconosce l’empatia come centro generatore e protettore della Vita: la sua finalità è ristabilire le funzioni originarie che permettono la conservazione e l’evoluzione della Vita, creando modelli interni di condivisione con l’altro e coscienza etica. Il modello si colloca in tal senso nella prospettiva sociale e relazionale in cui l’individuo è immerso. Lo psicologo americano Urie Bronfenbrenner ha proposto in tal senso un modello definito ecologico-sistemico. Esso parte dall’assunto che gli individui sono inseriti in un contesto ambientale che presenta vari livelli di complessità e che influisce sul processo evolutivo del soggetto e sulle sue attività. In particolare egli distingue cinque livelli del sistema:
• Micro sistema, in cui sul soggetto influisce la relazione con i colleghi e con i superiori.
• Meso-sistema, sul soggetto influiscono la relazione con i pari e il contesto lavorativo in generale.
• Eso-sistema (sistema-società), ovvero il contesto esterno che influisce con effetti indiretti.
• Macro-sistema, rappresentato dal livello socio-culturale, dalla politica sociale e dei servizi che caratterizza la comunità in cui si è inseriti.
• Crono-sistema, ovvero il livello temporale scandito dagli eventi che accadono nella vita di ciascun individuo.


Figura 1: Il modello Longevity Training


Un altro punto di riferimento del modello è collegato alla teoria dei sistemi e alla visione epigenetico-probabilistica della struttura e del funzionamento degli organismi propria del contestualismo evolutivo. Sia questo modello che quello di Longevity Training pongono l'accento sull'influenza reciproca, o dinamica, tra i processi biologici e psicologici e le condizioni ambientali. Le relazioni reciproche tra gli aspetti interrelati della persona e del suo contesto non sono tuttavia da intendersi nel senso di semplici "interazioni" lineari. Al contrario, individuo e contesto sono in "transazione", cioè in "interazione dinamica". In virtù dell'esistenza di relazioni reciproche, ogni elemento viene trasformato dagli altri. Nelle interazioni dinamiche variabili organismiche e contestuali alterano ognuna la natura delle altre.
Le persone sono sistemi viventi autopoietici (cioè sistemi che si auto-costruiscono) e cambiano nel tempo, si costruiscono sul piano energetico (la crescita) e sul piano delle informazioni (sviluppo cognitivo e psicologico in generale).
Johannes Heinrich Schultz usa il termine di "bionomia" definito come "ordine del complesso di leggi della vita" e propone il "Training Autogeno" per generare "un abbassamento generale del biotono dello stato di veglia", consentendo al proprio organismo di recuperare l’equilibrio originario, rientrando così nella bionomia, cioè nell’ordine della vita. Rompere il binomio tensione-non funzionalità significa stimolare le componenti positive del soggetto, operare una rivalutazione delle capacità personali, ridare fiducia in sé stesso, tornare ad essere in grado di autoregolarsi.
Il modello Longevity Training si collega inoltre al concetto di Vincolo proposto da E. Levinas, uno dei maggiori filosofi contemporanei, che ha indagato l’identità in relazione all’altro di Jean Piaget, la dimensione del Noi di Martin Buber e l’empatia di Theodor Lipps, per giungere alla sua sintesi originale rappresentata dall’epifania dell’incontro. L’altro e l’incontro con l’altro: questa è la dimensione fondamentale dell’esistenza, da cui scaturisce l’Etica, nonché la fonte dell’identità, che secondo Lévinas va dall’altro all’io. E’ la poetica dell’incontro umano, occasione di celebrazione dell’altro come possibilità di scoperta, di riconoscimento, di connessione con la parte più intima di noi. L’Altro di cui parla Lévinas, è sempre in una dimensione grazie alla quale nasce in noi il desiderio di rispondere affermativamente alla silenziosa richiesta dell’Altro di accogliere il suo mistero, senza commenti e senza richieste. La nostra identità si manifesta solo attraverso l’altro; a questo proposito M. Buber propone la realtà del "Noi" e dell’esistenza dell’uomo non come creatura isolata ma relazionale .
All'interno del modello Longevity Training troviamo poi gli ecofattori ossia gli stimoli dell’ambiente che possono ostacolare o favorire l’espressione genetica; si tratta di creare eco-fattori positivi per stimolare lo sviluppo del potenziale genetico. Nell’ asse che va dalla filogenesi all’integrazione, rafforzando i comportamenti innati e lavorando sulla parte sana, si migliora lo stato di salute inteso in senso olistico dell’essere umano. Sull’asse del continuum identità-regressione che rappresenta la naturale alternanza degli stati di coscienza, troviamo l’identità che è la nostra essenza corporea e pulsante. Inoltre, mediante un processo di identificazione profonda con la musica, l’individuo si lascia trasportare fino ad annullare la percezione del confine tra l’esterno e l’interno integrandosi in un’identità maggiore; è uno stato dell’Io ridotto e la percezione del corpo è armoniosa, le tensioni muscolari spariscono, la sensibilità corporea si sposta verso sensazioni di benessere.
Longevity Training si svolge unicamente all’interno di un gruppo, attraverso vari livelli presenti in molti esercizi. Non vi è in questo ambito la possibilità di articolare un approfondimento su ciascuno di questi livelli ed esercizi. Lo stato di coscienza che si può sperimentare in una sessione di Longevity Training ha una qualità integrante. Si tratta di un vissuto in cui la parte cosciente è ridotta ma non assente. Si raggiunge l’integrazione dei tre centri: istintivo, affettivo e razionale e ciò apporta benefici allo stato percepito del benessere psico-fisico ed è la base per l’espansione della coscienza.
Certi effetti provocati da questi vissuti, quali l’aumento dell’impulso vitale ed il piacere cenestesico, sono analoghi a quelli prodotti dall’azione di alcuni neurotrasmettitori ed ormoni. Le neuroscienze hanno indagato gli effetti della dopamina nell’elevare l’umore, delle endorfine nel provocare piacere cenestesico, della noradrenalina nell’attivare l’organismo come reazione ad una situazione di emergenza, dell’acetilcolina nell’indurre rilassamento e favorire processi di riparazione organica, del GABA (acido gamma ammino butirrico) nell’indurre un’azione tranquillizzante. Vi è una relazione tra vissuti psicologici ed attivazione di neurotrasmettitori che suggeriscono l’ipotesi che tali vissuti possano produrre effetti "dopaminergici" di buonumore, effetti "endorfinici" di piacere corporeo, effetti "GABA" di tranquillità. Tale ipotesi è molto suggestiva ma ovviamente, come già ricordato, dovrebbe essere sottoposta a verifica sperimentale.
Nel metodo Longevity Training é inoltre centrale il concetto di affettività che è riconoscimento reciproco e accettazione, occasione di connessione profonda, di integrazione a sé e all’altro. Nella reciprocità dell’ascolto di sé e dell’altro, possiamo vedere come il principio che mette la Vita al centro è intrinsecamente etico. Ponendo la Vita al centro realizziamo l’Etica; la trasformazione che conduce alla coscienza etica, frutto della connessione con gli altri, e che porta a nuove scale di valori. Ma questo deve avvenire nel vissuto quotidiano: il filosofo tedesco Wilhelm Dilthey ha proposto il termine Erlebnis che in italiano può corrispondere al concetto di vissuto o meglio di esperienza vissuta e che nel modello Longevity Training assume un’ulteriore connotazione di esperienza vissuta con grande intensità da un individuo nel momento presente e coinvolge le percezioni enterocettive ed esterocettive e le funzioni viscerali ed emozionali. Questo termine si riferisce ad uno stato psicofisico di piena integrazione con sé stessi e con gli altri, generato dall’ambiente che ci circonda proprio nel momento che stiamo vivendo e che implica una immediata e profonda connessione con le energie bioregolatrici. E’ l’esperienza soggettiva integrata del "qui e ora" che propone la Psicologia della Gestalt . Il metodo usa, inoltre, un approccio che include la sensibilità cinestesica attraverso il movimento corporeo, la modulazione continua tra questo ed il pensiero cosciente, situazioni d’incontro in gruppo in cui la musica è in grado di veicolare emozioni, utilizzando il tutto come struttura di una Gestalt, in cui, secondo l’approccio di Fritz Perls, il tutto è molto più che la somma dei singoli elementi.

Per sintetizzare ecco una sintesi degli scopi, degli obiettivi e dei possibili esercizi proposti da Longevity Training nell’educazione e nella riabilitazione:
1. Cura dell’affettività
• Esercizi volti allo sviluppo della solidarietà, dell’amicizia, incontri in feedback.
• Superare qualsiasi discriminazione sociale, razziale o religiosa.
• La rieducazione dell’affettività deve essere la finalità essenziale. In molti casi, saranno indispensabili esercizi di riparentalizzazione.
2. Presa di contatto con la propria identità:
• Esercizi di sfida personale di fronte alle difficoltà.
• Coraggio per difendere i punti di vista propri.
• Connessione con la propria forza.
3. Cura dell’espressività e della comunicazione:
• Manifestare le emozioni attraverso il movimento corporeo ed il dialogo verbale.
• Esercizi di creatività artistica: poesia, musica, pittura.
• Sviluppo dell’espressione verbale, oratoria e recitazione, parola emozionata.
4. Sviluppo della sensibilità cenestesica, percezione del proprio corpo e destrezza motoria:
• Esercizi di fluidità, coordinazione, sinergismo, eutonia, assertività motoria e piacere cenestesico.
5. Acquisizione dell’apprendimento attraverso la pratica quotidiana:
• Laboratori di apprendimento attraverso l’esperienza vissuta.
6. Integrazione alla natura e sviluppo della coscienza ecologica:
• Percezione della natura con i cinque sensi.
• Ricerca del "nido ecologico"
7. Sviluppo e ampliamento della percezione:
• Esercizi di percezione musicale e delle opere d'arte.
• Percezione delle situazioni umane con i cinque sensi.
8. Espansione della coscienza etica:
• Esercizi di regressione ed espansione della coscienza.
• Esercizi nella natura.

La sessione di Longevity Training
Una sessione è strutturata in una prima parte verbale, che a volte può anche non esserci, in cui il facilitatore illustra gli obiettivi degli esercizi proposti durante la sessione oppure i partecipanti al gruppo, se lo desiderano, pongono domande o condividono con gli altri la loro esperienza rispetto ai vissuti personali. Questa fase di solito dura non più di 15-30 minuti ma come detto può anche non esserci. Segue poi la fase del vissuto durante la quale il linguaggio verbale è sospeso per immergersi totalmente nell’esperienza, come esposto precedentemente. Soprattutto nelle prime sessioni il facilitatore persegue l’obiettivo di realizzare una integrazione motoria, proponendo ai partecipanti esercizi volti a liberare il movimento stereotipato, le contratture e rigidità a livello corporeo, nonché a sviluppare le proprie capacità ritmiche per stimolare la vitalità. Si iniziano così a superare gradualmente le proprie dissociazioni perseguendo degli obiettivi di integrazione motoria ed affettivo-motoria che stimolano in modo graduale e progressivo le capacità di comunicazione affettiva, attraverso esercizi proposti sempre con dolcezza e delicatezza, senza mai forzare nessuno e nel pieno rispetto delle capacità motorie e personali di ognuno dal punto di vista dell’affettività.
Sempre con rigorosa progressività nelle successive sessioni vengono quindi proposti esercizi che vanno a stimolare delicatamente la creatività attraverso giochi creativi introdotti da ritmi allegri e vitali. L’introduzione di esercizi di rilassamento (training autogeno) avverrà nel rispetto dei tempi necessari, legati ai ritmi fisiologici, per attuare una profonda integrazione indispensabile al buon esito della sessione.
Inoltre esercizi avanzati avranno effetti positivi solamente quando all’interno del gruppo si è creata una familiarità che consente comportamenti di avvicinamento e contatto in feed-back: pertanto essi vengono applicati solo in sessioni di approfondimento. Ogni sessione è inoltre collocata all’interno di un ben preciso modello di strutturazione legato allo schema di attivazione-deattivazione tra sistema simpatico e parasimpatico proposto dal F. Alexander e poi sviluppato da G. L. Engel . Partendo dal livello di attivazione normale del nostro vivere quotidiano, presente nei partecipanti al momento dell’inizio della sessione, si proporranno esercizi di progressiva attivazione-integrazione, quali ad esempio camminate: l’alternanza di gambe e braccia (braccio sinistro con gamba destra in avanti e viceversa) realizzerà un intervento di integrazione motoria oltre che di attivazione simpatico-adrenergica. Tale attivazione sarà in grado di rinforzare anche l’identità: attraverso musiche attive e movimenti ritmici si raggiungerà il picco della curva di attivazione. A questo punto si introdurranno esercizi come ad esempio movimenti di fluidità o vissuti attivati da musica melodica, in grado di promuovere la deattivazione e la curva inizierà a scendere mettendo in atto una lieve regressione che proseguirà e diventerà più intensa con esercizi quali il movimento del segmento corporeo del collo, avente per scopo di rilassare la muscolatura cervicale, stimolare il nervo vago promuovendo un’azione parasimpatica, dissolvere la tensione oculare, orale e del viso in generale. A tale esercizio si può far seguire un movimento di dolce rotazione delle spalle, avente per scopo di rilassare la muscolatura della regione dorsale, generalmente tesa a causa degli automatismi inconsapevoli attivati dai meccanismi di difesa. La rotazione antero-posteriore delle spalle, con occhi e bocca semiaperta, evocherà vissuti di liberazione, come se ci si liberasse da uno stato di tensione. A questo punto la curva regressiva sarà fatta proseguire con esercizi quali ad esempio la percezione dell'unità e solidarietà del gruppo: i partecipanti alla sessione si prendono per le mani e con una musica lenta e melodica oscillano soavemente a destra e sinistra. Si induce anche un senso di condivisione, di dolcezza e affettività senza timore. Tutti i membri del gruppo oscillano allo stesso tempo e ciò induce vissuti di unità e armonia. Ora si potranno proporre esercizi quale ad esempio quello degli incontri: le due persone si avvicinano progressivamente e prendono entrambi l’uno le mani dell’altro, scambiando un saluto e dopo un attimo si congedano delicatamente. La comunicazione affettiva avviene gradualmente attraverso segnali non verbali di accettazione e accoglienza, trasmessi con lo sguardo, il sorriso, il gesto di ricevere. La reciprocità dei gesti è condizione essenziale. Le due persone coinvolte devono entrare in feed-back onde evitare qualsiasi forma d’imposizione: è importante che ci sia rispetto e sensibilità nei confronti dell’altro, ma anche capacità di esprimere con chiarezza i propri limiti, in modo da non essere prevaricati. In tal senso il facilitatore proporrà tale esercizio solo in un gruppo in cui esistono le condizioni precedentemente esposte. L’esercizio ha una duplice valenza esistenziale: da una parte l’interazione affettiva con l’altro facilita e intensifica la percezione di sé, dall’altra stimola il rispetto per chi si ha davanti. E’ possibile che due persone che si conoscono solo all’interno del gruppo avendo partecipato ad alcune sessioni, realizzando l’incontro, sperimentino intensamente una sensazione di familiarità in cui l’estraneo si trasforma in simile. Ciò può stimolare una forma indifferenziata di affettività che tenderà poi, nella vita quotidiana, ad attenuare pregiudizi e comportamenti discriminatori e facilitare la gestione delle relazioni interpersonali. Quest’esercizio ha il carattere di un "rito sociativo" che implica un apprendimento di comportamenti di avvicinamento, comunicazione e contatto . All’incontro seguirà un esercizio che farà uso di una musica dolce e regressiva con un esercizio di training autogeno che conclude la sessione. I passaggi da un esercizio all’altro devono permettere il flusso di vissuti ed emozioni. E’ necessario pertanto che la struttura della sessione permetta ai partecipanti di fluire organicamente verso nuovi livelli di intensità e qualità, senza rottura dello stato organico ed emozionale. Il passaggio tra i livelli di attivazione-deattivazione-ripresa si ottiene mediante esercizi di armonizzazione dolci e neutrali. Gli esercizi producono effetti biochimici e neurovegetativi che devono essere presi in considerazione nella strutturazione della sessione. Gli esercizi di armonizzazione (come ad esempio gli esercizi di fluidità) servono per ottenere questo ponte di transizione: è infatti molto sgradevole passare bruscamente da vissuti molto attivi ad altri regressivi.


La verifica empirica
Il DSM IV non contempla il disturbo da stress lavoro correlato, tuttavia la letteratura è concorde nell'associare allo stress lavoro correlato sintomi psicologici ansiosi-depressivi.
L’ipotesi di partenza che ho voluto testare è che lo svolgimento di esercizi di attivazione seguiti da quelli di deattivazione, eseguiti in modo sistematico, possa migliorare lo stato generale di benessere, il tono dell’umore e diminuire sensibilmente i sintomi ansiosi-depressivi. Quindi, lo scopo del progetto di ricerca era quello di verificare se l'esecuzione della sequenza degli esercizi che abbiamo progettato, caratterizzati da stimolazione motoria, cognitiva e relazionale, porti effettivamente a cambiare in particolare il tono dell'umore.
Abbiamo quindi accolto ben volentieri l'invito ad applicare il training precedentemente illustrato in una casa di riposo del Veneto.
L'intervento è stato opportunamente modificato ed adattato allo specifico ambito di applicazione, andando in particolare a testare se si verificava il miglioramento dell’umore nonchè un miglioramento a livello cognitivo di alcuni anziani residenziali e semiresidenziali. Gli esercizi sono stati opportunamente adattati all'età e alle capacità funzionali degli ospiti, sono stati eseguiti con cadenza tri-settimanale (45’ per seduta di attività) e per 12 settimane ed hanno permesso di verificare cambiamenti positivi rispetto all'asse timico mentre l'incremento a livello cognitivo è stato irrilevante.
In questo caso il disegno sperimentale si è potuto realizzare con maggiore facilità grazie al supporto della struttura organizzativa ufficiale. Il gruppo sperimentale era composto da 24 ospiti (15 donne, 9 uomini). Quello di controllo, invece, era formato da 19 ospiti (10 donne, 9 uomini). I criteri di inclusione sono stati: MMSE superiore a 18/30, ospiti collaboranti, moderata dipendenza rispetto alle attività di base e strumentali delle vita quotidiana. I criteri di esclusione sono stati: MMSE inferiore a 18/30, gravi patologie fisiche, mancanza di compliance, grave depressione.
Sono stati somministrati prima e dopo l'intervento il Mini Mental State Examination (MMSE) e la Geriatric Depression Scale (GDS) nonchè un questionario finale. Nella tabella seguente sono visibili i valori medi e le relative Deviazioni Standard ottenuti prima e dopo il trattamento.

Grafico riepilogativo relativo all'intervento con un gruppo di anziani di una casa di riposo.

Figura 4: Dati riepilogativi rilevati nel MMSE e nel GDS prima e dopo l'intervento.

Valori medi (deviazione standard) e Anova (between conditions) prima e dopo il trattamento
Sperimentale Controllo
Prima Dopo F Prima Dopo F
MMSE/30 24,533 ±3,63 26,4083±3,94 ,207 25,0526 ±3,82 24,2158 ±3,61 4,209***
GDS/15 6,3333 ±3,65 2,7917 ±2,76 ,599 5,4737 ±3,56 4,7368 ±3,60 4,016
***p-value<0,05
Tabella 1: Valori medi (deviazione standard) e Anova (between conditions) prima e dopo il trattamento.

Nel gruppo sperimentale la media del MMSE/30 prima e dopo rimane quasi invariata, la media del GDS/15 dopo il trattamento (valori medi e Deviazioni Standard) sono considerevolmente più bassi rispetto a quelli ottenuti prima del trattamento. Possiamo pertanto ragionevolmente affermare che per quanto riguarda la GDS/15 (Geriatric Depression Scale) il trattamento ha avuto effetto. I risultati che si possono rilevare sono senza dubbio positivi e di fatto il trattamento è risultato efficace per migliorare il tono dell’umore, la percezione di sé, la relazione con gli altri.
Inoltre, tramite il questionario, si è riscontrata la percezione di un miglioramento respiratorio, di una maggiore resistenza fisica, di una migliore capacità manuale, deambulatoria, di movimento, di acuità uditiva e di benessere generale.
Sottolineiamo che dai punteggi della scala GDS si evince che c’è stato un significativo miglioramento nei riguardi dell’asse timico e questo porta a pensare che l’anziano praticando il nostro training sia più sereno. Il MMSE, invece, ha evidenziato un leggerissimo spostamento, ma di scarsa rilevanza statistica, verso un possibile miglioramento dell’aspetto cognitivo.


Longevity Training nelle strutture socio-sanitarie ed assistenziali
Nelle strutture socio-sanitarie ed assistenziali in generale ed in quelle che si occupano di anziani in particolare, sia a livello residenziale che in regime di day hospital, la riabilitazione e la cura degli ospiti esige dai professionisti coinvolti un intenso coinvolgimento soprattutto sul piano emotivo, generando spesso sentimenti di frustrazione ed impotenza che generano ansia e stress.
In tutti questi ambiti vi è quindi l’esigenza di avere dei professionisti in grado di monitorare e tenere costantemente sotto controllo i loro vissuti interiori rispetto alle inevitabili intense frustrazioni che l’ambiente ed il contesto lavorativo determinano. Questa è anzi una condizione indispensabile per fornire all’utenza un servizio di eccellenza, evitando di scaricare sull’utenza, ovviamente senza rendersene conto, i loro vissuti ansiosi e stressanti.
1. La prevenzione di ansia, stress e burn-out tra gli operatori.
La formazione del personale operante in ambito socio-sanitario ed assistenziale in generale ed in particolare in ambito di strutture residenziali per anziani deve prioritariamente tener presenti molteplici stati di stress legati ai contesti lavorativi (ambiente ed attività). Tra questi oggi spiccano per frequenza ed importanza la sindrome del burn out ed il mobbing.
Il fenomeno del burn out, si concretizza in una forma di stress lavorativo, tanto da configurare una vera e propria malattia. Il lavoro viene considerato come una causa di stress. In determinati settori lavorativi o in certe attività professionali il lavoro della persona non costituisce una semplice produzione di beni/servizi; questo in particolar modo si verifica nel lavoro terapeutico, assistenziale ed educativo. Il lavoro in tali ambiti si presenta come un complesso di processi, di servizi, che si intrecciano necessariamente con i vissuti dolorosi del limite, dell'incertezza e con la paura della malattia e della morte. Ad esempio, nel lavoro sanitario, la sofferenza suscita nei pazienti istanze emotive primarie, richieste regressive, mentre al contempo negli operatori sanitari evoca desideri di "salvezza onnipotente", sentimenti di ostilità, insofferenza, angosce persecutorie ed aggressività. I professionisti socio-sanitari (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti) nonostante dispongano nella loro attività professionale di tecnologie avanzate, non possono prescindere dalla relazione tra persone, tra chi richiede e chi offre un aiuto e devono sottostare allo squilibrio che tutto questo comporta.
Il burn out può verificarsi sia nel lavoro dipendente, sia in quello parasubordinato (come rapporto in regime di convenzione tra medico specialista ed azienda sanitaria), sia nel lavoro non retribuito (come nel volontariato).
Un tempo, le prime esplicitazioni del burn out si erano verificate con riferimento ad alcuni precisi contesti lavorativi delle professioni sanitarie (medici ed infermieri impiegati nella assistenza a malati terminali), mentre oggi, tutte le professioni di aiuto sono da considerarsi a rischio burn out. Quest’ultimo rappresenta il tipo di risposta ad una situazione percepita come intollerabile, insopportabile in quanto l'operatore avverte una distanza incolmabile tra la quantità di richieste avanzate dagli utenti e risorse disponibili (individuali e organizzative) per fornire un’adeguata risposta alle richieste stesse. Da questa percezione negativa deriva un senso di impotenza acquisita, dovuta alla convinzione di non poter fare nulla per modificare la situazione, per eliminare l'incongruenza tra quello che il professionista ritiene che l'utente si aspetti da lui e ciò che egli è effettivamente in grado di offrirgli. Tale stato di disagio in tutte le manifestazioni nelle quali si presenta, rappresenta un indice non trascurabile della non corrispondenza tra quello che gli individui sono e quello che devono fare.
Il burn out non si presenta solo come un problema personale che riguarda solamente il singolo che ne è affetto ma costituisce una "malattia contagiosa" che si espande in modo altalenante dall'utenza all'équipe (da un membro dell'équipe ad un altro e dall'équipe agli utenti). Le gravi conseguenze che ne derivano possono essere schematizzate in tre livelli di impatto:
1. A livello degli operatori socio sanitari che pagano gli effetti del burn out sul piano personale, (attraverso somatizzazioni, ma soprattutto mediante la dispersione di risorse, frustrazioni e sotto utilizzazione del loro potenziale).
2. A livello dell’utenza per cui i contatti dei fruitori del servizio sanitario con gli operatori affetti da burn out risulta inefficace e dannoso.
3. A livello della comunità che vede svanire forti investimenti nei servizi del welfare.
Sulla base di quanto evidenziato precedentemente, attualmente non esiste alcuna terapia specifica e, quindi, realmente efficace per un quadro manifesto di burn out. Qual è il compito della formazione in questo campo? Sinora, ci si è limitati a sperimentare, ad ipotizzare strategie o collaudare percorsi terapeutici multidisciplinari, per cui si va dai gruppi di psicoterapia, a quelli di auto mutuo aiuto, ai trattamenti antidepressivi tradizionali. Tuttavia, l'unico reale rimedio è costituito, per ora, dalla prevenzione, in quanto si presenta molto difficile recuperare una situazione degenerata sia per il singolo operatore sanitario, sia per il contesto lavorativo nel suo complesso. La cosa più importante è far comprendere che il conflitto è una caratteristica della natura umana e che non può essere eliminato. Ciò che noi possiamo fare è scegliere in quale modo gestire una simile condizione. Ma è fondamentale riconoscere il conflitto e accettarlo come occasione di crescita e cambiamento. Poiché il conflitto è una esperienza di disagio e di sofferenza, bisogna fare in modo di accogliere questi stati per trasformarli in un’occasione di sviluppo, per sperimentare nuovi modi di gestione degli stessi (ad esempio attraverso una comunicazione assertiva).
La persona assertiva, infatti, é in grado di comunicare, senza troppe paure, il proprio vissuto, adottando un linguaggio fisico e verbale non aggressivo. Riesce, inoltre, ad esporre il proprio punto di vista senza sopraffare quello altrui (sapendo che la verità è merce rara e quasi mai appartiene esclusivamente ad una persona). La persona assertiva tende poi ad una soluzione che si avvicini il più possibile ai suoi obiettivi, senza essere aggressiva, rispettando i desideri e gli obiettivi altrui. Sa valutare le persone in maniera attiva (ascoltando come parlano e come si esprimono ma anche osservando il loro atteggiamento corporeo, al fine di comprendere le loro reali intenzioni). E’ in grado, infine, di assumersi le proprie responsabilità con coraggio e consapevolezza dei propri limiti.
Tutto ciò è possibile quando la persona ha fiducia in sé stessa e negli altri, quando riconosce che ognuno può commettere errori, quando è consapevole che ogni problema può essere affrontato e risolto nel migliore dei modi. Ha pertanto un’immagine positiva di sé: si accetta ed è pronta a difendere i propri diritti senza calpestare quelli altrui; é ottimista e realista nel contempo, sa essere fiduciosa e riflessiva di fronte ai problemi, dei quali valuta i rischi, manifesta le sue emozioni "positive" (curiosità, eccitazione, serenità, gioia di vivere, benessere ...) e gestisce quelle "negative" (ansia, irritazione, paura ...), esprime con franchezza il proprio punto di vista e le proprie convinzioni. Inoltre sa interagire con gli altri, s’impegna nel proprio lavoro, si assume la responsabilità dei propri errori ecc. E’ una persona che può sperimentare un giusto sentimento di altruismo e che agisce per la propria dignità e per quella delle altre persone.
In tale contesto Longevity Training è uno strumento che libera l’io dai suoi conflitti interiori e dalla gabbia delle sue sovrastrutture e ristruttura i rapporti interpersonali su una strada dove si concretizza una comunicazione più dinamica indispensabile per il funzionamento della persona a livello sociale.
I suoi principi di base, la sua filosofia della non resistenza, della non violenza, la rendono un’arte efficace e dinamica, un caleidoscopio in cui vengono proiettate, affrontate e risolte le paure sociali che sono purtroppo sempre alla base del deterioramento dei rapporti interpersonali. Una persona, sia essa un adulto, un anziano, o un bambino, che sono per una serie di traumi mai portati alla luce ma latenti e strutturati nella loro personalità, incapaci di stabilire dei rapporti interpersonali per tutto il corso della loro esistenza, avranno difficoltà comportamentali e relazionali in qualsiasi tipo di ambiente: scuola, lavoro, casa, famiglia, affetti. Molte patologie sia individuali sia collettive, da cui degenerano fenomeni di asocialità, disturbi del comportamento, incapacità nel comunicare col prossimo e di ascolto di sé stessi, perdita del controllo della realtà e conseguente caduta in forme distruttive dell’io, come la dipendenza dal fenomeno droga, dall’alcolismo, dalla depressione o dall’autolesionismo, sono prodotte dall’incapacità di gestire delle corrette relazioni umane.
Sono molti i medici di strutture pubbliche che consigliano ai propri pazienti al sorgere di sintomi di attacco di panico e come alternativa od integrazione alla terapia farmacologia, altre soluzioni e trattamenti. Orientare un individuo verso Longevity Training può ampliare il suo bagaglio di conoscenze e di espressione attraverso un'arte che è dinamica, efficace, orientata a risolvere i problemi individuali, ma anche una disciplina che garantisce lo sviluppo della vita sul piano emozionale. La diffusione di Longevity Training come delle altre tecniche di espressione psico-corporea sono strumenti efficaci per contribuire alla soluzione di tante malattie sociali integrando l'intervento della medicina e psicologia ufficiali.
Longevity Training, nella completezza della sua proposta, è quindi uno strumento complementare finalizzato alla riscoperta dell’animo umano, il cui fulcro è rappresentato molto spesso dalle dinamiche della vita di ogni giorno e dall'instaurarsi dei nostri rapporti interpersonali
Tutto questo rende questa disciplina molto utile per far fronte a forti situazioni di stress come il burn out, dal momento che aiuta nella relazione con l'altro, nel controllo delle energie e nel benessere psicologico, oltre a insegnare il rispetto per l'altro e l'umiltà.


Profilo dell’operatore di Longevity Training
L’operatore di Longevity Training è la figura professionale responsabile di trasmettere ed applicare le conoscenze teoriche e metodologiche acquisite nel corso di formazione all’interno del proprio ambito professionale. Pertanto, deve possedere una condotta esistenziale e un livello d’informazione superiore a quelle richieste ad un analogo operatore socio-sanitario od assistenziale.
Queste caratteristiche definiscono il “profilo dell’operatore” e sono acquisite non soltanto durante il Corso di Formazione ma anche attraverso una formazione permanente che deve far parte della sua vita.
Il profilo ideale di un operatore di Longevity Training deve essere composto dalle seguenti caratteristiche:

- Possedere conoscenze teoriche chiare sui concetti essenziali di Longevity Training.
- Conoscere con precisione tutti gli esercizi del relativo livello (obiettivi, descrizione, musica adeguata).
- Dominare i temi corrispondenti ad ogni stage della Scuola di Formazione cui ha partecipato e capacità di proporre e condurre delle sessioni per ognuno di essi.
- Capacità di operare in maniera integrata.
- Capacità di riconoscere, vivere e gestire le proprie emozioni.
- Sviluppare la capacità didattica.
- Sviluppare una mentalità scientifica.
- Acquisire cultura nell’ambito filosofico e biologico e delle neuroscienze nonchè sensibilità artistica, poetica e musicale.
- Avere una adeguata integrazione a livello personale tra aspetti motori, cognitivi, affettivi ed emozionali.
- Sviluppare in forma permanente i suoi potenziali.
- Interesse nel perfezionamento costante, assistendo a corsi, stage e eventi di Longevity Training.
- Possedere una struttura di personalità che trasmetta fiducia e consapevolezza etica. Non deve essere conflittuale.
- Avere un buono sviluppo dell’affettività, trascendenza, empatia e creatività.